LA RESPONSABILITA’ DEGLI SCAFISTI NELL’INGRESSO DI MIGRANTI SOCCORSI IN ACQUE INTERNAZIONALI
Con la sentenza n. 29832/2018 la Corte di Cassazione interviene sul tema in auge alle cronache e relativo al trasporto di migranti clandestini, ed in particolare interviene sul ricorso proposto dal comandante e dal vice comandante di uno scafo, imputati del reato di procurato ingresso illecito di immigrati clandestini, punito in Italia ai sensi dell’art. 12 c. 3 del D.Lgs. 286/1998, per avere effettuato il trasporto dall’Egitto in Italia di 277 cittadini non appartenenti all’Unione Europea.
Alla declaratoria di responsabilità penale, già affermata dal Gip, nell’ambito del giudizio abbreviato di primo grado, ne seguitava la conferma, da parte della Corte d’Appello di Catania in sede di gravame, e la conseguente condanna degli imputati alla pena detentiva di cinque anni e quattro mesi, nonché alla pena pecuniaria di € 2.884,00 di multa per ciascun imputato.
La Corte d’Appello nel confermare la punibilità degli imputati, applicava le aggravanti per aver commesso il fatto in tre o più persone, in relazione a cinque o più persone, di aver esposto a pericolo la vita e l’incolumità dei migranti e di averli sottoposti a trattamenti disumani; escludeva, invece l’aggravante del profitto in quanto gli imputati avevano agito in qualità di traghettatori non organizzatori della traversata.
Gli imputati ricorrevano dunque per la cassazione della sentenza de qua lamentando in primo luogo la carenza di giurisdizione italiana, in quanto l’azione si sarebbe conclusa in acque sovranazionali, allorché, prima del salvataggio da parte della Guardia Costiera, l’imbarcazione sarebbe stata avvicinata da un altro scafo mercantile, disposto a farsi carico del trasporto degli immigrati a Malta, trasporto rifiutato dagli stessi migranti senza alcun intervento attivo da parte degli imputati.
Gli imputati lamentavano altresì, l’erronea applicazione dell’art. 12 D.Lgs. 286/1998, in quanto l’incriminazione delineata da tale disposizione riguarderebbe non la mera condotta di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma quella volta a procurare l’ingresso illegale dei migranti.
La Corte di Cassazione, nel ritenere infondato ed inammissibile il ricorso, ha osservato che le questioni giuridiche poste con i motivi di ricorso sono state già tutte affrontate e risolte dalla Corte Territoriale e nessuno degli argomenti addotti è idoneo a superare gli indirizzi già affermati.
D’altro canto, prosegue la Corte, in punto di giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che sussiste quella del giudice italiano relativamente al delitto di trasporto di cittadini extra comunitari nella ipotesi in cui i migranti, provenienti dall’estero a bordo di navi “madre”, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l’intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operando sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità è riconducibile alla figura dell’autore mediato, in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti.
Gli imputati negano di aver voluto un siffatto esito, proclamandosi indifferenti rispetto a quello che avrebbe potuto essere il luogo dello sbarco, scelto autonomamente dai trasportati, e sostengono che, quand’anche si volesse ritenere la sussistenza del reato, esso si sarebbe perfezionato in acque internazionali, trattandosi di reato a consumazione anticipata.
Anche questa ricostruzione è stata smentita dalla suprema Corte, in quanto, anche nei reati a consumazione anticipata – in cui la condotta di pericolo, già in sé punibile, sia tenuta fuori dal nostro territorio- basta che si verifichino in Italia gli effetti voluti della condotta per potersi validamente radicare la giurisdizione italiana sensi dell’art. 6 c.p.
Quanto poi, alla qualificazione del reato, la tesi secondo la quale gli imputati avrebbero posto in essere una condotta da sussumere nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, piuttosto che il più grave reato di procurato ingresso di immigrati clandestini è smentita dalla circostanza per la quale, la fattispecie contestata e da ritenersi non dubitabile, è il trasporto dei migranti, e non già il più generico compimento di “atti diretti a procurarne l’ingresso illegale”, che l’art. 12 d.lgs 286/1998 punisce solo in via residuale.
La Corte quindi conclude affermando il principio per cui:Il solo fatto di aver provocato il soccorso per essere in mezzo al mare con imbarcazione inadeguata e in situazione di sovraffollamento e di condizioni meteo avverse è sufficiente a escludere che l’ingresso illegale sia ascrivibile all’autore mediato del reato, cioé la nave svedese, anzinché a coloro che hanno provocato la situazione di emergenza, che in base al diritto del mare obbliga al salvataggio delle persone alla deriva.
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